Moody’s declassa il rating degli Stati Uniti: cosa significa per i mercati?
di: Alessio Moretti 19 Maggio 2025 11:58
Moody’s ha ufficialmente declassato il rating creditizio degli Stati Uniti da Aaa ad Aa1. La decisione, annunciata venerdì sera, è una risposta al crescente livello di debito pubblico e al peso sempre più insostenibile degli interessi sul debito accumulato negli ultimi dieci anni. Un segnale chiaro che i fondamentali fiscali USA iniziano a scricchiolare — e i mercati ne stanno prendendo atto.
Perché Moody’s ha abbassato il rating degli USA?
L’agenzia prevede che l’estensione degli sgravi fiscali previsti dal Tax Cuts and Jobs Act (TCJA) peggiorerà ulteriormente il quadro. Secondo le stime:
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Il deficit di bilancio passerà dal 6,4% del PIL nel 2024 a quasi il 9% entro il 2035.
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Il rapporto debito/PIL salirà dal 98% al 134%.
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Gli interessi sul debito arriveranno a pesare per il 30% sulle entrate pubbliche (oggi sono al 18%).
Numeri allarmanti che rafforzano l’idea di una pressione crescente sui Treasury e, di riflesso, sui mercati globali.
Outlook stabile, ma le ombre restano
Nonostante il downgrade, Moody’s mantiene un outlook “stabile”, riconoscendo alcuni punti di forza strutturali degli Stati Uniti:
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Il dollaro resta la valuta di riserva globale.
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Le istituzioni monetarie e fiscali USA conservano solidità.
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La crescita economica a lungo termine ha ancora basi robuste.
Tuttavia, l’agenzia ha già segnalato a novembre 2023 un peggioramento dell’outlook da “stabile” a “negativo”, anticipando questa mossa. Ricordiamo che Fitch aveva declassato gli USA nel 2023, e S&P lo aveva già fatto nel 2011.
La risposta politica: colpa del passato?
Il Segretario al Tesoro, Bessent, ha cercato di ridimensionare la portata dell’annuncio in un’intervista a NBC News, definendolo un “ritardo” nell’assorbimento degli effetti della spesa sotto l’amministrazione Biden. Ha invece sottolineato l’impegno del presidente Trump nel contenere il debito, pur dimenticando che proprio le sue politiche fiscali hanno contribuito all’aumento del deficit.
E nel frattempo, gli investitori fanno i conti con le conseguenze: i rendimenti dei Treasury a 30 anni sono saliti fino al 5%, il livello più alto dal 9 aprile. Quel giorno, l’annuncio dei dazi da parte di Trump aveva innescato una massiccia svendita di asset USA.
Dati macro contrastanti: prezzi in salita, fiducia in picchiata
Oltre al downgrade, venerdì sono arrivati anche altri segnali poco incoraggianti dall’economia reale:
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Secondo il Dipartimento del Lavoro, i prezzi all’importazione sono aumentati dello 0,1% ad aprile, dopo un calo dello 0,4% a marzo. A pesare: l’impennata dei beni strumentali, che ha compensato il calo dell’energia.
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La fiducia dei consumatori, invece, crolla. L’indice elaborato dall’Università del Michigan scende a 50,8, ben sotto le attese (53,4) e quasi 30% in meno rispetto a gennaio. È il secondo livello più basso mai registrato.
Tariffe e inflazione: il sentiment ne risente
Un dato curioso: quasi tre quarti degli intervistati ha citato spontaneamente i dazi doganali come una delle principali preoccupazioni economiche, segno che la politica commerciale sta tornando a dominare il sentiment. Da notare, però, che la maggior parte delle risposte è arrivata prima dell’annuncio della tregua di 90 giorni tra USA e Cina sulla guerra commerciale.
Intanto, le aspettative di inflazione a 12 mesi salgono al 7,3% (dal 6,5%), e quelle a lungo termine passano al 4,6% (dal 4,4%).
Informazioni sull'autore: Alessio Moretti
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